Federico Urgesi, in arte Itto, ha da poco rilasciato il suo ultimo ep “Questi Maledetti Vent’anni”, un racconto interessante tra malumori, gioie, amicizie e amori sbagliati. Un album che parla dell’ultimo decennio con la semplicità che solo la musica riesce a dare.
Raccontaci cosa c’è dietro al tuo album “Questi Maledetti Vent’anni”
Dietro quest’album ci sono 15 anni di musica che sono culminati in questo disco che ho rimandato per tantissimo tempo. Ho sempre avuto un po’ paura di farlo uscire, poi ad un certo punto mi sono reso conto che mi manca poco ai 30 anni ed era giusto raccontare questo decennio per fissarlo nel tempo.
L’album si apre con “Brutti Giorni” in ft con Chiamamifaro, una canzone che parla di depressione: perché questa posizione nella tracklist e quanto è importante per te il tema della salute mentale?
“Brutti giorni” è la traccia iniziale dell’album “Questi Maledetti Vent’anni” per due motivi: il primo a livello musicale, in quanto volevo partire subito forte, deciso e incalzante; il secondo a livello tematico, in quanto il tema della depressione è molto importante per me. “Brutti Giorni” è l’ultima che ho scritto e volevo che il disco partisse con qualcosa di fresco per me. Il tema della depressione e della salute mentale per me è super importante: ho vissuto sulla mia pelle questa tematica, sono andato a vivere a Milano e questo ha inevitabilmente cambiato la mia vita portandomi a vivere uno stato di infelicità. Io volevo fare un disco maturo perché non ho più vent’anni e queste cose dovevano rientrare per forza al suo interno, ho cercato di far passare il messaggio che non è tutto una merda, sono solo brutti giorni.
Originariamente scrivevi in inglese, poi hai fatto uscire un EP in italiano ed ora il tuo primo album. Cosa ti ha spinto a questo cambiamento?
Il mio percorso musicale fino a quest’album è sempre stato un po’ confuso, dettato da quello che mi ispirava in quel momento. Ciò che mi ha spinto a scrivere in italiano è stato che un giorno (ormai quasi 8 anni fa) ho scoperto che non avevo mai approfondito la musica italiana ed in realtà spaccava, in quel periodo si stava sviluppando la musica indie e tra questi c’era Brunori ed era bellissimo, ignoravo tutto ciò per questo lo facevo in inglese. Non ho comunque smesso di scrivere in inglese, anche perché sono spesso a Chicago dato che la mia ragazza vive lì. Ultimamente sto facendo molte scelte anche dal punto di vista musicale ma resta tutto molto istintivo.
Hai co prodotto l’album con Celo ma tra i riconoscimenti si trovano anche i nomi di tuoi colleghi con la quale collabori spesso (Still, Danu, Sami). Quanto è importante questo sodalizio in questo ambito musicale?
Con Celo abbiamo lavorato a tantissime cose negli anni, come l’album di Dani (Danu) e di Carlo (Still Charles) contemporaneamente abbiamo fatto due brani di Alfa, poi Ernia e molte altre cose al di fuori del mio progetto. In studio io so cosa voglio e lui pure, c’è questo sodalizio profondo perché ci conosciamo davvero da tanti anni. Con Dani e Carlo, come dicevo prima, siamo amici, facciamo le vacanze insieme e suoniamo insieme per cui era inevitabile iniziassimo poi a lavorare insieme. Sono contento di averli inseriti all’interno del mio disco, sono molto importanti sia dal punto di vista musicale che soprattutto da quello dal punto di vista umano.
Hai una frase preferita di un tuo pezzo? O alla quale sei legato particolarmente?
“Potrei fare un figlio, non potrei fare il padre” che dico in “Minu'”. Questo è un pezzo che ho scritto forse due anni fa con ARYA ed era il momento in cui stavo andando a vivere da solo e mamma non era tanto contenta di questa cosa. Quella frase è legata al fatto che ad un certo punto della mia vita ho visto che sulla carta ero un adulto, ma io non mi sentivo come tale paragonandomi a come vedevo i miei genitori quando ero piccolo. Andando ora verso i trenta capisco che pure i genitori improvvisavano, ma da piccoli sembrano sempre sicuri di s’è e consapevoli di ciò che fanno
Che genere di musica ascolti e quanto influisce su quello che scrivi?
Io ascolto poca musica italiana perché la top 50 non si riflette in ciò che voglio fare io. Aascolto Naska, La SAD e Giuse The Lizia che hanno attitudini pop/punk, urban e quindi delle influenze americane o classico cantautorato come Brunori. Mentre ascolto tantissima musica americana e credo che Dominic Fike sia l’artista più ascoltato dell’anno. Ultimamente sto scoprendo il country che mi è sempre sembrato un “meme” ed invece sto scoprendo che ce n’è di fatto benissimo e praticamente è il Folk americano (io arrivo da quello inglese). Vorrei tornare a fare qualche brano voce e chitarra acustica, che è il mio strumento.
Qual è stato, secondo te, il momento più importante della tua carriera fin’ora?
Sicuramente “Questi Maledetti Vent’anni“: più passa il tempo e più aspettative avevo su di esso, poi sono arrivato al punto in cui mi ero deciso che prima o poi questa cosa andava fatta. Mentalmente mettere insieme 12 canzoni è stato un processo complicatissimo, alla fine però mi è pure piaciuto. Fin’ora avevo fatto solo singoli ed all’interno di un album non c’è la “pressione di dover funzionare” in poco.
All’interno di un disco si può fare una canzone come “Granelli”, un brano di 44 secondi che ho scritto e registrato il giorno in cui dovevo consegnare il disco. Mi sono trovato in studio e c’era questo pezzo che non mi piaceva più, per cui ho deciso di cancellarlo ma mi mancava un’outro, avevo questo strumento uzbeko – perché sono stato recentemente in viaggio in Uzbekistan – e ho cominciato a strimpellare: ecco Granelli è nato così.
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