Mi sono presa qualche ora per assaporare “The Freak Show”. Lo dovevo a questo lavoro incredibile, ma soprattutto lo dovevo a me stessa per quel vortice di emozioni che i testi di Diego Naska riescono a tirare fuori da un cuore che fin troppe volte fingo di non avere, troppo ferito e illuso per lasciarsi coccolare dal mondo esterno.
La musica è da sempre la mia medicina, questo lo so con certezza ed è il motivo per il quale oggi potete leggere i miei pensieri in questo piccolo spazio, il mio rifugio dal mondo esterno, l’unico luogo in cui posso mostrarmi vulnerabile senza paura di essere accoltellata alle spalle. Ecco in questo io e Diego siamo molto simili, un amore viscerale che ci lega alla musica ed è proprio in quelle note che i cuori simili si ritrovano, spogliandosi per un po’ di quel velo o quel vestito da Pagliaccio che la società ci impone di indossare.
“The Freak Show” è il terzo disco di Diego Naska, un album che ha il sapore di una terapia. Un susseguirsi di brani che entrano in connessione con l’ascoltatore, che seguono una linea chiara di crescita effettiva dello stesso Diego, che nonostante non ami essere definito “maturo”, ha cominciato a definire il suo personale stile fatto di ballad romantiche dal sound pop punk, di brani “punk a bestia”, di ritmi e casse dritte che ti portano ad urlare a squarciagola tutto quel marcio che la nostra generazione si porta dentro perché si: Diego Naska è un punk della generazione Z.
Quella generazione che gira con le cuffie in metro, spesso con il trucco pensante, che si mostra sempre al top online e poi si chiude in bagno a piangere, quella che non immagina un futuro, ma lo sente prepotentemente sulle nostre teste. Un fardello, un macigno gigante, una zavorra che trainiamo lentamente tra le nostre giornate di sole e quei momenti bui che accompagnano la vita quotidiana: tutti accomunati dalla paura di non essere mai abbastanza.
Ecco “The Freak Show” riesce a racchiudere tutte queste anime disturbate attraverso una tracklist perfettamente studiata, un up & down che tiene alta la soglia dell’attenzione, che fa commuovere, ridere, saltare, ballare e cantare a squarciagola abbassando i finestrini di una macchina che sfreccia tra le vie di una Roma quasi deserta. 10 brani che spaziano tra le sfumature del punk con naturalezza, con la certezza che si sta procedendo spediti verso la strada giusta tra le maschere, le stranezze, le peripezie di una società che sembra un circo.
“E mi diverto” – Intro
L’album apre il suo percorso con “E mi diverto”, un pezzo punk al punto giusto, batteria potente, chitarra distorta e un testo che racconta la verità. Ci porta i sogni semplici di un ragazzo di 27 anni: una serata passata in macchina con un pò di amici a fumare, bere dei gin tonic, a raccontarsi i guai per poi finire a scopare con quella persona che ci riduce in mille pezzi con un sorriso.
Questo brano è l’intro perfetto, ti prepara a staccare per un pò e ti fa entra nel mood di Diego Naska fatto sicuramente di talento, ma anche di semplicità. “Esco di casa solo per fare un macello, ho un occhio nero però lui sta messo peggio” un’immagine chiara di un ragazzo di 27 anni, che vive a Milano, va al Rocket, vive e fa macello.
“Scappati di Casa 62015“
Il viaggio nel “Circo” continua “Scappati di Casa 62015, l’inno di chi arriva dal paese, fuori dai grandi centri abitati, da quelle tentazioni alla portata di mano per chi scende e si trova nel “posto giusto”. La provincia, perchè di questo si parla, ti rende forte, ti dà quella verbe da “figlio di puttana” che nella vita aiuta.
Sul motorino in due
Che non partiva mai
E anche se partiva, dove cazzo andavi?
Eravamo bloccati lì
Chiusi in gabbia come dei cani randagi
E saremmo morti, sì, ma non così
Un brano che è sicuramente figlio del tempo trascorso sui motorini, avanti e indietro in un loop che è difficile da capire per chi viene dal centro, sognando di ridurre in fretta quei km. Un racconto delle serate da veri scappati di casa, con gli zaini pesanti di chi dorme sui divani degli amici per evitarsi i viaggi, che finiscono in un angolino abbracciati al wc.
“BERLINO”
Si continua con “Berlino” l’unico feat dell’album. Un brano già noto perchè ci ha letteralmente fatto ballare per tutta l’estate con una serie di remix che avevano il sapore di quelle notti felici sui lungomare italiani, cantando a squarciagola fermandosi per rubare baci alla cotta del momento.
C’è poco da dire su “Berlino” se non che è quel mix di generi e di anima che rende interessante anche un brano un po’ “paracula” che unisce il principe del punk con il re del hip-hop/rap romano, ovviamente parliamo di Gemitaiz. E quindi dopo esserci sincerati sulle condizioni di Simo, beh andiamo a fare “paura e delirio” a Berlino o dove volete andare.
“Non me lo merito”
Dopo i primi tre brani all’apparenza più allegri, si arriva a gamba tesa al primo cazzotto nello stomaco che Diego ci ha riservato in “The Freak Show”, parliamo di “Non me lo merito“. Un brano intenso, che racconta la sofferenza di chi non si sente mai abbastanza, di chi vive nel terrore di affezionarsi all’altro, di amare, di essere innamorato, di vivere momenti per poi essere costretto a ricordarli ferendosi ulteriormente.
Questo brano è solo il preludio di quello che – effettivamente – l’artista ci racconterà più avanti, è frutto di una consapevolezza arcestrale: non sono capace ad essere felice, ho paura del mondo e dell’amore. Una condizione che viviamo tutti, in modo diverso e per motivi diversi, un ossimoro tanto grande da sembrare insormontabile: viviamo tutti aspettando l’amore, ma quando arriva lo lasciamo correre via.
“E non me lo merito
Che dopo tutto mi guardi così
Hai gli occhi che picchiano, stringono
Come duе mani sul collo
Giuro mi odio
E tu voltati”
Ecco penso che non ci sia altro da dire, perchè Diego dice tutto esattamente qui.
“La mamma di ****”
Una canzone scanzonata, il brano in cui esce – ed è bellissimo da ascoltare – il Diego bambino, cazzone, divertito dalla vita e dalla situazione che vive i suoi 27 anni e la sua voglia di mangiarsi il mondo, prendersi tutto, giocare, pronto a mostrarsi semplicemente un pischello fresco e bello come il sole. Un sogno proibito, il fascino segreto dell’osservare “le grandi” pensando a come potrebbe essere e finire a vivere in un POV. E ascoltandola io già me lo immagino saltare da una parte del palco, buttarsi tra la folla e prendersi tutto quell’amore che lui ci rimanda in musica.
Baby don’t Cry
Il primo singolo di questo nuovo percorso, la canzone che – personalmente – mi ha fatto conoscere questo giovane punk scapezzato che dedica canzoni d’amore e soffre per paura di non riuscire a ridarlo indietro quell’amore.
Cosa ci fai qui da me?
Baby, don’t cry, vestiti e vai
Ma non eri tu quella che giurava:
“Io di uno stronzo così, guarda, non m’innamorerò mai
“Baby don’t cry” è più una canzone che dedica a se stesso, a quelle promesse che non riesce mai a rispettare, a quella paura che lo paralizza e lo fa sentire costantemente lo stronzo di turno. E’ l’inizio di un processo che, banalmente, ci porta direttamente all’ultima canzone “Pagliaccio”, ma per quella dovete aspettare ancora un pò.
Piccolo
Una canzone che ho avuto la fortuna di ascoltare, nel silenzio tombale di Cinecittà, quando Diego ci ha regalato lo spoiler durante lo Spring Attitude. “Piccolo” parla di vulnerabilità emotiva, solitudine e la difficoltà di chiedere aiuto, temi importanti che viviamo tutti, chi più, chi meno. Il quadro che ci viene presentato è quello di un uomo che conosce le sue fragilità e chiede disperatamente all’altra persona di restare, nonostante sappia i tanti sforzi già fatti per rimanergli accanto.
Ma resta qui ancora un po’
Ancora un po’
Non sai a me quanto costa dirtelo
So che dirai no
E io mi sentirò così piccolo
“Piccolo” ci parla del mostro interiore, della depressione, della paura di morire sotto il peso dell’ennesimo attacco di panico che arriva – nel cuore della notte – e ci fa sentire così fragili da dover necessariamente chiedere aiuto. La fine però è inevitabile e lo stesso protagonista ce lo racconta così: “So che dirai no, che le cose prima o poi finiscono”.
Corona di Spine
Il pezzo più “punk a bestia” dell’album come ama definirlo lo stesso Diego e di conseguenza il più evocativo, introspettivo e potente forse dell’intero ep. Un brano prova ad esplorare la complessità dell’animo umano. Sono inevitabili i parallelismi con la simbologia: la “corona di spine” chiaro riferimento al sacrificio, alla sofferenza, al dolore preso da qualcun altro. La corona è spesso associata a figure “sacre”, ma nel contesto di Naska, essa diventa un elemento di lotta e resilienza.
In un mondo di merda
Dove si nasce e si muore
Perché devo essere io il migliore?Lasciami perdere
Lasciami perdere
Non sono un modello da seguire
Morto con la corona di spina dorsale
Madre, prega per me
“Corona di Spine” racchiude all’interno sonorità scure e ipnotiche, grazie al suono intenso di una batteria perfetta, accompagnano un testo che sembra voler abbracciare le fragilità della vita. La ripetizione della frase nel ritornello funge da ancoraggio emotivo, induce l’ascoltatore a entrare in sintonia con le sue emozioni e esperienze.
Horror 2
Siamo arrivati alla traccia che avevo paura di ascoltare fin dal primo istante in cui ho letto il titolo nella tracklist, purtroppo è così.. sono un’inguaribile romantica. Ora vi farò una piccola panoramica di questo brano, ma sappiate che presto uscirà la recensione completa perhè mi è rimasto attaccato nelle ossa.
“Horror 2” è il continuo di una storia già cominciata nel secondo album “Rebel”, il racconto di una relazione portata all’estremo, costantemente sul filo del rasoio. Un gioco delle parti che ferisce entrambe le persone, vittime di quella passione che ti mangia dentro, ti fa vivere “la favola” nel giro di due giorni per poi far restare ricordi tra le viscere ed il cuore.
In macchina ubriachi, sul letto da sdraiati
In giro nei locali tutte foto sempre uguali
Chissà se le cancelli o qualcuna la terrai
Se brucerai quell’album pieno di Polaroid
Una relazione che sembra davvero quello che tutti sognano: complicità, divertimento, affetto, ma anche l’impossibilità di essere davvero felici perchè tossici gli uni per gli altri. Ecco “Horror” è questo una storia tragica, splatter, ansiogena e l’unica strada possibile sarà quella separazione fisica trascinandosi dietro – per sempre – quel macigno di ricordi.
Pagliaccio
Siamo giunti alla fine di questo viaggio, l’ultimo atto di un viaggio incredibile. Il concept dell’album parte tutto da qui, dopotutto. Da questo Pagliaccio inconsapevole che riesce a realizzare il suo sogno: vivere di musica, inconsapevole di tutto quello che effettivamente c’è dietro questo mondo e quanta dedizione bisogna avere.
Quanto vorrei chiudermi in bagno
Spegnere tutto e pensare un po’ a me stesso
Ma oggi non posso, ho uno spettacolo
E sono qui sotto, hanno già pagato il biglietto
Chi effettivamente non si è mai sentito così? Tutti noi, chi più chi meno, nelle diverse modalità possibili in base alle vite che viviamo ci siamo ritrovati su un palcoscenico indossando la maschera più bella, il vestito più stirato e quel trucco che nasconde tutte le paure e le insicurezza.
Viviamo in un mondo in cui se ti mostri fragile, sei sfigato e quindi corriamo, corriamo, corriamo per cercare di esorgizzare quei pensieri che ci offuscano la vita (e la vista). Tanti criceti disperati al ritmo dello “The show must go on” non importa dove sei o come stai: devi rispettare i tempi, altrimenti non vali nulla. Si certo, nel caso specifico di Naska, si parla di musica ma proviamo a rapportare tutto questo nei nostri posti di lavoro, non è la stessa cosa?
“Ridi, balla scemo
muori dentro, ma non devi piangere
piangere
piangere
così nessuno lo saprà mai”
E quindi ci nascondiamo, ci chiudiamo per un attimo nel nostro bozzolo di verità, e poi torniamo a dare la versione migliore di noi stessi in pasto agli squali. Ma attenzione, a non restarci incastrati in quella maschera da clown che indossiamo.
In conclusione posso dire che The Freak Show è un lavoro introspettivo incredibile che riesce a ferire e sanare allo stesso tempo, dopotutto si sa la musica è croce e medicina da sempre.