Giorgia torna sul palco di Sanremo 2025 con “La cura per me”, un brano che conferma la sua straordinaria vocalità ma che, purtroppo, non riesce a brillare davvero sul piano autorale. Riascoltare le canzoni, successivamente alla gara, sicuramente ci permette un maggiore permeabilità del loro contenuto. Nell’esibizione live, “La cura per me” era manchevole di “qualcosa”. Era come vedere un’interpretazione impeccabile, ma incapace di arrivare direttamente.
Il mondo della discografia italiana si sta muovendo sempre più verso l’emotività di pancia e meno verso la perfezione tecnica. Le emozioni hanno la meglio e spengono ogni sorta di dubbio, anche davanti a una delle voci più belle e intense del panorama nostrano. Il brano è scritto dalla stessa Giorgia Todrani insieme a Blanco e da Michelangelo e, forse, il testo risente fin troppo dell’influenza dei due artisti. Ed è come se l’età anagrafica si scontrasse con la maturità esperienziale che ognuno di noi può compiere nell’arco della propria vita.
Più ti avvicini e più io mi allontano
E i ricordi se ne vanno piano
Su e giù come un ascensore
Ogni mia stupida emozione
E no, non cambierà
Dirti una bugia o la verità
Per me fare una follia è come la normalità
Questo testo vive di contraddizioni. Da una parte troviamo la distanza, ma nel ritornello ci ritroviamo ad affrontare la verità: quanto l’altro sia necessario. I ricordi se ne vanno, le emozioni ci allontano in un lento rincorrerci per l’impossibilità di ammettere ciò che si prova. Un po’ la metafora del modo con cui le emozioni di oggi vengono vissute. Ci si frequenta, ma non si sta insieme. Ci si innamora, ma è come se non ci si volesse prendere la responsabilità di quel sentimento. Prendersi cura dell’altro, in un contesto sempre più egoico come la nostra modernità, muta in incapacità comunicativa. Ci si guarda da lontano, ci si sfiora, si scherza, ma non si affronta la verità.
Non so più quante volte ti ho cercato
Per quegli occhi, per quegli occhi che fanno da luna
Non so più quante notti ti ho aspettato
Per finire a ingoiare tutta la paura
Di rimanere sola
In questa stanza buia
Solo tu sei la cura per me
Eppure quanto sarebbe facile allungare una mano e far capire all’altro quanto sia necessario?
Perchè si, l’amore è semplice e sempre lo sarà. Siamo noi umani a renderlo complicato. Siamo noi, persone con il nostro imposto divieto sociale del fallimento, che non siamo disposti ad ammettere ciò che proviamo. Così continuiamo ad inseguire i nostri personali “Sliding Doors”, continuando a chiederci “e se…”.
Se da un lato l’interpretazione è impeccabile, con quella capacità unica di trasformare ogni nota in un’emozione palpabile, dall’altro il testo non è all’altezza della sua voce.
“La cura per me” si muove su un terreno sicuro, quello della ballata intima e riflessiva, ma lo fa con una scrittura prevedibile, fatta di immagini e concetti già sentiti troppe volte. Prendersi cura di sé stessi, riconoscere la propria fragilità e accettarsi sono temi profondi, ma la canzone li affronta con una superficialità che non lascia traccia.
Frasi fatte e metafore scolastiche appiattiscono il potenziale emozionale, senza mai trovare uno spunto realmente originale o personale. La produzione, elegante e minimale, fa il possibile per elevare il pezzo, costruendo attorno alla voce di Giorgia un arrangiamento discreto, tra pianoforte, archi e qualche lieve intervento elettronico. Ma la sensazione è quella di un involucro raffinato per un contenuto troppo esile, incapace di lasciare un segno duraturo.
Sul palco, Giorgia ci mette tutta la sua esperienza: la presenza scenica e la voce restano una certezza assoluta, ma manca quel testo capace di sorprendere o di raccontare qualcosa di veramente nuovo. Nonostante questa contraddizione, il brano arriva maggiormente nella sua versione studio piuttosto che live. Sembra quasi che l’impeccabilità canora la renda distaccata e fredda. Emozioni che mal si sposano con ciò che il testo vuole comunicare.
“La cura per me” è, in definitiva, una prova di grande mestiere, ma anche un’occasione mancata per spingersi oltre la comfort zone di una ballata sanremese già sentita troppe volte.