“La Tana del Granchio”, brano in gara a Sanremo 2025, è uno di quei brani che confermano l’unicità del percorso artistico di Bresh. Un pezzo che si discosta da un panorama musicale forzato e saturo vittima di storytelling creati ad hoc per colpire il pubblico. “La tana del granchio” è esattamente il contrario, un brano che evoca la poesia, costruisce immagini che sanno di sale, di strada, di amicizie consumate sotto cieli grigi e tramonti liguri.
Nella tana del granchio c’è una canzone
Ho posato i miei vestiti al sole
Ti ho vista piangere dietro alle mie parole
Ma non sapevo cos’altro dire di te
Ora che siamo soli mi puoi pure parlare
Guardati intorno non c’è nessuno
Non far così non mi giudicare
Ho una parola sbagliata per ogni frase
Sono soltanto un uomo e non ci so fare
Fin dai primi secondi, il pezzo avvolge l’ascoltatore con una produzione morbida, dove chitarre leggere e un beat essenziale creano un tappeto sonoro che lascia spazio alla voce. È una scelta stilistica precisa. Una di quelle che mette al centro il testo, la parola al centro e che si rifà a una tradizione cantautorale moderna che Bresh sta reinterpretando a modo suo: una fusione tra urban e racconto intimo, tra il bisogno di evadere e la volontà di restare aggrappato alle proprie radici.
Sono una madre che si sgola
Una testa che gira ancora
Una chitarra che non suona
Una borsa piena di buchi
Se capisci che non ti amo
Sei una sirena che non nuota
Il testo è il cuore pulsante del brano. La “tana” e il “granchio” non sono decorazioni, ma delle metafore profonde. Bresh ci parla di protezione e difesa, di quella corazza che ci costruiamo attorno per difenderci e per sopravvivere alle maree della vita. Il mare, elemento costante nella sua incredibile poetica. Non è solo un austero scenario, ma diviene attiva della narrazione: è rifugio e minaccia, libertà e confine. È il luogo da cui si scappa e quello a cui si torna, in un loop esistenziale. Un modello che chi conoscere la profondità del mare sente strettamente suo.
Un sacchetto di plastica
Tiene i nostri due costumi bagnati
Ce li siamo dimenticati
Nella macchina che è rimasta sotto al sole per tutta l’estate
Ad ottobre li ho ritrovati
C’è una sottile malinconia che attraversa tutto il pezzo, un senso di precarietà che è tipico di una generazione che ha imparato a vivere nell’incertezza. Si cerca una casa, una tana, anche solo per una notte. Eppure, non manca quella leggerezza tutta ligure, fatta di ironia disillusa e immagini quotidiane che sanno essere incredibilmente poetiche proprio nella loro semplicità.
Lascio la via per te
Ora che non è più un sì
Camera mia non è una metropoli
Che incubo stare ad aspettare in un monolocale
Sei fuori a carnevale
Dal punto di vista musicale, Bresh con questo pezzo ci mostra la via vincente: un sound che resta fedele alle origini acustiche del cantautore, ma che si sposa alla perfezione con le influenze urban e hip hop che fanno parte del suo background. Nessun virtuosismo eccessivo, nessuna produzione invadente, una ballad pura e perfettamente creata con il tempo che pass: la musica è al servizio della parola, e non viceversa. È un equilibrio raro, che dimostra la maturità artistica di Bresh e la sua capacità di restare autentico anche mentre evolve.
Fin dal primo ascolto è stato chiaro: Bresh con “La Tana del Granchio” ci mostra un frammento di vita. Un piccolo viaggio nei chiaroscuri di chi cerca di trovare un posto sicuro senza smettere di farsi domande. Una conferma, per chi l’ha seguito fin dall’inizio, del talento incredibile di un giovane artista genovese che non smette di essere se stesso.